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revistart - Barcelona 

art style magazine 

Mario Pratesi, toscano, classe 1972, ha visto molta pittura antica e moderna, ne ha colto gli aspetti più vivi che portano a godere e lasciarsi andare nel suo flusso fatto di immagini, storie e soprattutto di colori. Ha scelto, tra tutte le possibili ispirazioni, le pitture dove la pennellata è più libera e vigorosa, reinterpretandola a suo modo, cercando non di copiare, ma di inventare a partire dalla propria autonoma fantasia. È innegabile infatti un rifarsi alla tradizione del colore, a quella lombardo-veneta che si distingue da quella tosco-romana basata invece sulla durezza della linea del contorno, che è composta da una pennellata morbida e densa. Ma questa pennellata ha più precisamente un corrispettivo nella tradizione espressionista che è nata a inizio del XX secolo in Francia con i Fauves e in Germania con Il Ponte e il Cavaliere Azzurro. Tutti questi gruppi che operavano all'inizio del XX secolo trasfiguravano il colore naturalistico in un colore invece astratto, violento fino a diventare accecante, con pennellate spigolose e dure che hanno una relazione con le incisioni litografiche e xilografiche dell'epoca. Quei gruppi descrivevano una realtà borghese fatta di strade e donne eleganti, uomini d'affari e politicanti, la reinterpretavano e la criticavano profondamente caricando le espressioni e i gesti. Tra di loro Franz Marc prediligeva la pittura di animali nel paesaggio, ma sempre descritti con colori forti e innaturali, per quanto piacevoli e accattivanti. Questa predilezione tematica caratterizza anche Pratesi che descrive con pennellate libere e meno unite di quelle degli espressionisti la realtà, lo fa con pennellate energiche che spesso creano nello spazio curve che richiamano come delle onde le figure. In generale le pennellate seguono una ragione visiva, cioè si rifanno a precisi andamenti che negli sfondi più fortemente impastati di colore possono essere verticali o diagonali e richiamare un andamento che accarezza la vista dell'osservatore. La sua fantasia si rifà molto anche all'immagine in movimento, al cinema, alla figura protagonista di una storia, cui viene applicato un fermo immagine. Talvolta infatti sembra che le figure si rifacciano ad un'inquadratura e ciò è spiegabile anche con l'esperienza come operatore cinematografico dell'artista cui ha dedicato parecchi anni. È naturale quindi il ricorso alla storia del cinema con riferimenti anche precisi, mi vengono in mente almeno "Flash Dance" che viene ricordato anche nel titolo di un dipinto e "King Kong" oppure "2001: Odissea nello spazio". Le figure giganteggiano, isolate e assolutamente protagoniste dello spazio saturo di colore dando al quadro un ampio respiro. Chi usa il cinema con la pittura indispensabile pensare anche alla musica e a quella più libera e sperimentale come il Jazz, cui il pittore dedica un quadro dove la vivacità del colore sembra richiamare il ritmo frizzante del jazz. Tra i più spettacolari dell'artista sono i due quadri Cane da carnevale giapponese e Combattimento tra galli dove il pittore dipinge con pennellate sintetiche, sature di colore e dense l'idea stessa del movimento con un fare energico che restituisce appieno la vita e la vivacità della scena. In sintesi l'artista restituisce nei suoi dipinti i voli pindarici della sua inesauribile fantasia, si confronta con la storia delle immagini antiche e moderne, statiche e in movimento, sempre in cerca di contatto con l'osservatore. Le pennellate energiche e appassionate, dai colori forti e vivaci ci parlano di sentimenti profondi e di emozioni, di volontà di rovesciare nei propri quadri la propria ricca interiorità. La pittura allora diventa una necessità, un modo per comunicare al mondo le proprie fantasie e la propria passione in primo luogo e sempre.

Carmen Lorenzetti, Docente di Storia dell'Arte Contemporanea all'Accademia di Belle Arti di Bologna

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MARIO PRATESI

 

La pittura come istinto primordiale

 

 

 

E' indubbio che già al primo sguardo la pittura di Mario Pratesi dichiara apertamente la propria distanza dall'accademismo di maniera e dal compiacimento formale, imponendosi invece per una libertà stilistica disinvolta, a tratti trasgressiva, alimentata da un'energia primordiale, istintuale e autentica, che si pone, impulsivamente e quasi involontaria, oltre le misurate convenzioni della storia dell'arte, come se l'artista, Nell'urgenza di testimoniare la propria condizione esistenziale, si caricasse di un'ansia espressiva che non è possibile trattenere, trovando quiete solo dopo averla proiettata sulla tela che si affolla di un febbricitante dionisiaco horror vacui.

Questa manifestazione impellente del proprio vissuto, rivelandosi come un'insopprimibile necessità, è il nucleo proponente di un'attività artistica che, come un vulcano in eruzione, scaglia all'intorno innumerevoli visioni e impressioni, riflessioni e stati emotivi, rappresentati con una figurazione essenziale e antigraziosa, che si nutre di colori esuberanti ed energici, per cogliere momenti e istanti di vita, non solo riferiti all'attualità ma anche da sollecitazioni della memoria o calandosi in frequentazioni di storia e del mito, ovvero spaziando in un ampio repertorio il cui limite è dettato solo dalla propria fervida immaginazione.

Sulla tela, il colore, a volte calato come una sciabolata che ferisce, altre steso in accese campiture o macchie dissonanti, dispensato con gesto irruente o distribuito in segni delicati, si sostituisce al disegno, ne costruisce le forme, le figure, i paesaggi, gli oggetti, per una raffigurazione spregiudicata e sciolta, a volte grottesca, che richiamandosi al vasto ambito del neoespressionismo si alimenta ampiamente di sintassi astrattiste, informali, echi di graffitismo e di primitivismo, in una ricerca che predilige spesso la riduzione compositiva, esaltando l'essenza del messaggio così da coinvolgere con immediatezza lo spettatore.

 Per comprendere però la dimensione in cui Pratesi opera, e non fermarsi all’apparenza non convenzionale o naïf di alcuni suoi dipinti, può essere utile decostruirne il linguaggio pittorico così da identificare gli elementi che ne rendono possibile l’efficacia espressiva, che poi sono i successivi stadi in cui l’arte contemporanea si è andata evolvendo e che il nostro sembra aver introiettato in modo spontaneo e non intellettualistico.

In primo luogo si riconosce alla sua pittura l’appartenenza al vasto territorio dell’espressionismo,  inizialmente declinato nelle avanguardie storiche dei Fauves francesi e dei tedeschi del Die Brücke in cui si assiste al superamento della rappresentazione oggettiva della realtà. Questa ormai non poteva più essere percepita come tale, perché si scopre che il processo della visione non è meramente meccanico ma è essenzialmente interpretativo, ovvero non si può separare ciò che si conosce da ciò che si vede, aprendo così la strada  alla soggettività che è poi il motivo dominante di tutta l’arte contemporanea.  Il punto di vista di colui che quella realtà la osserva diviene quindi imprescindibile, in particolar modo per gli artisti, che dietro anche la pressione dei nuovi mezzi di ripresa della realtà, come la fotografia, vanno alla ricerca di nuovi valori stilistici e di una nuova visione spingendo ancora più la raffigurazione in senso deformante e drammatico.

La strada, intrapresa decenni prima da Van Gogh e Cezanne, ora conduce alla consapevolezza che ciò che di autentico si può esprimere non è più la realtà esterna ma quella che filtra dall’interno, passata al vaglio della coscienza, fatta di stati d’animo e di sensibilità emotive. Tutto è trasfigurato e non si torna più indietro. Un’ulteriore spinta in tal senso viene offerta dalla scoperta dell’inconscio che a questa “realtà interiore” offre una dimensione psichica, le cui cause vanno ricercate nella psicologia del profondo, nell’inconscio che però si rivela insondabile,  e quindi anche ogni gesto creativo ed espressivo si carica di una quintessenza inesprimibile.

Questa perdita di punti di riferimento, che prendono il posto delle certezze ideologiche ottocentesche, conduce  la pittura, nelle sue ricerche più estreme e affascinanti, a pura manifestazione fenomenica. Se l’astrattismo delle avanguardie storiche manifestava la volontà di superare la figurazione oggettiva aprendosi ad altri linguaggi, cercando di esprimere anche realtà soprasensibili e invisibili, in una prospettiva positiva, ciò non sembra più possibile dopo i genocidi di massa e la bomba atomica. L’artista si ritrova uomo, incapace di formulare risposte agli interrogativi del proprio tempo e il linguaggio informale manifesta questa tormentosa condizione. L’Informale, declinato nei suoi principali orientamenti, segnico e materico, rivendica la pittura come puro atto esistenziale, non si propone di prospettare direzioni, intendimenti o significati, ma si emancipa da qualsiasi intenzione rappresentativa, diventa pratica tautologica, che basta a sé stessa, in linea con la filosofia dell’esistenzialismo e la fenomenologia.

Inoltre l’arte si apre anche a nuove dimensioni espressive, come quella dei disagiati psichici e degli autodidatti naïf, che ripropongono un punto di vista singolare e autonomo, non colto, non mediato dalla ragione, ma  intenso e istintivo come lo erano state le maschere africane, tanto ammirate da Picasso e Braque, perché con la loro primitiva sintesi, esprimevano una potenza comunicativa che l’arte occidentale aveva smarrito.

Come l’alternarsi dei cicli stagionali, dopo le rivoluzionarie pratiche artistiche oggettuali, dell’Arte povera e concettuali della seconda metà del secolo scorso, la pittura ritorna con rinnovato  spirito libertario nelle raffinate composizioni degli artisti della Transavanguardia, così come nei protagonisti maledetti del Graffitismo, che dai ghetti delle periferie urbane approdano al circuito delle gallerie d’arte. Ma è nel neoespressionismo tedesco dei cosiddetti Nuovi Selvaggi che la pittura raccoglie il testimone di quell’irruenza trasgressiva e ribelle, audace e indipendente, che sembra idealmente scorrere anche nella pittura di Mario Pratesi.

Infatti quella di Pratesi è una dimensione che non conoscere mezze misure, la carica espressiva e viscerale si trasforma in esperienza visiva in grado di comunicare una realtà percepita in modo febbrile e intenso, quasi una sorta di riscatto da gusti e tendenze plasmate con intento mercantile.

Attingendo istintivamente alle esperienze pittoriche precedenti, di movimenti e di correnti che rappresentano, per così dire, il lato dionisiaco della storia dell’arte, di cui si è effettuata una sintetica quanto concisa analisi, l’artista toscano interpreta con tecnica essenziale e immediata, non addolcita da insegnamenti accademici, la pratica pittorica come mezzo per sondare il proprio grado di esistenza al mondo. 

Della sua vastissima produzione, si può citare qualche rapido  esempio, come gli autoritratti, Autoritratto al tempo del Covid (2020), Giornataccia (2018) e ritratti Cicio e Cicia, Mia sorella, El bieco. Anche la musica e le rappresentazioni di musicisti sono una tematica molto presente:  Jazzisti all’inferno (2020), Hendrix (1919), Mississipi (2019), Gesuiti euclidei, Omaggio a Miles, Paganini o The Doors (2018).  Così il paesaggio Fiorenza, La chiusa, La tempesta, La nostra casa, Trabocco al Tramonto,  al forte simbolismo dei dipinti di soggetto sacro, Giudizio Universale, Crocifissione, e così via in una estesa riscrittura di tematiche, un mondo trasbordante di immagini,  dall’attualità, da vicende storiche o tratte da suggestioni filmiche.

Nella composizione l’elemento descrittivo è ridotto al minimo, l’artista va diretto all’essenziale, senza orpelli, con capacità di sintesi e di far rivivere nella scena elementi immaginativi e concreti insieme, compiendo un atto di identificazione con le proprie istantanee di vita, con i propri personaggi.

Così facendo, può far emergere territori dolorosi e sofferenti, luoghi di passioni e di affettuosi trasporti, di desideri felici e di promesse infrante, manifestando sulla tela la propria intensa adesione alla vita, con una forza che si impone al di là di tutte le nostre paure, testimoniando che la realtà è autentica quando è partecipazione.

 

 

 Dicembre 2021                                                    Michele Loffredo, ex direttore museo di arte medievale e contemporanea di Arezzo 

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